mercoledì 14 dicembre 2016

TRADUTTORI: INTERVISTA A LAURA LIUCCI

Abbiamo il piacere di condividere con Voi, l'intervista che la traduttrice Laura Liucci ha rilasciato alla nostra Shanmei.


Ciao Laura, grazie per aver accettato il nostro invito. Raccontaci il tuo percorso di studi.



Grazie a voi, è sempre un piacere parlare del mio lavoro.

Il mio percorso di studi non è stato impostato sin dall’inizio sulla traduzione. Ho studiato Lingue nella Società dell’Informazione alla triennale e Lingue e Comunicazione Internazionale alla magistrale – con un focus sulla Linguistica e la Mediazione – epoi mi sono trasferita a Londra, doveho frequentato un’altra magistrale in Traduzione Specializzata. Nel frattempo, però, avevo già iniziato a lavorare nel mondo della traduzione letteraria.



Come è nato il tuo amore per la traduzione?



Direi che è nato dall’unione delle mie più grandi passioni: le lingue, la lettura e la scrittura. Avevo già un buon livello di conoscenza dell’inglese che stavo via via migliorando, e allo stesso tempo ero stata coinvolta in alcuni blog partecipativi e testate online per cui scrivevo di politica e attualità. Mi è sempre piaciuto raccontare storie, quindi il passo verso la traduzione letteraria è stato quasi naturale.



Come è iniziato il tuo lavoro di traduttore editoriale? Ricordi qual è stato il primo libro che hai tradotto?



Ho iniziato subito dopo la triennale e devo dire che sono stata molto fortunata, perché non è sempliceaccreditarsi in questo ambiente. Ho iniziato a mandare email a tutti gli indirizzi di case editrici che trovavo online, allegando il mio curriculum accademico ma anche i link ad alcuni miei articoli disponibili online. In questo modo avrebbero potuto leggere qualcosa di mio e vedere che, oltre a conoscere bene le lingue che avevo studiato, sapevo anche scrivere. Dopo decine e decine di email, alla fine Aliberti Editore mi ha proposto una prova di traduzione (pagata) dal tedesco su un libro illustrato per bambini. Che evidentemente dev’essergli piaciuta, perché subito dopo è arrivato il primo romanzo: “Flood” di Stephen Baxter, un hard science fiction in stile “The Day After Tomorrow”.



Acquisti i libri che traduci? E che sensazione provi quando vedi il tuo nome in qualità di traduttrice?



Ammetto che un vantaggio di questo lavoro sono… le copie omaggio! In genere è la casa editrice che manda una o due copie al traduttore del libro in questione. In ogni caso, mi è successo di comprarne altre da regalare. Quanto all’effetto che fa vedere il proprio nome lì in bella vista… beh, è davvero bello. Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto un “mio” libro in libreria. Ero in stazione a Roma e stavo aspettando di partire. Ero entrata per comprare qualcosa da leggere, e arrivata in cassa, la ragazza stava aprendo degli scatoloni appena arrivati. Dentro c’era il libro di cui parlavo prima, il primo romanzo che avessi mai tradotto. Quando l’ho visto non ho potuto fare a meno di dirle: “È il mio, l’ho tradotto io!”.



Preferisci una traduzione più letterale o creativa? O un mix delle due a seconda dei casi?



Ecco, qui esce fuori l’insegnante che è in me… quindi mi scuso in anticipo. Più che letterale o creativa, io parlerei – più cautamente – di quanto si è disposti ad allontanarsi da testo di partenza. Per quanto mi riguarda, dipende dal testo che ho davanti, dall’argomento, dal tono, dalle lingue coinvolte e dalla vicinanza delle due culture che rappresentano. Insomma, il discorso sarebbe lunghissimo. Ma se dovessi semplificare, direi che sono una sostenitrice del funzionalismo, e cioè dell’importanza che la traduzione funzioni bene nella lingua di arrivo, che “produca gli stessi effetti” che produce nella lingua di partenza sul pubblico.



Raccontaci un aneddoto, bizzarro, incredibile legato al tuo lavoro.



Ne avrei parecchi, ma il primo che mi è venuto in mente risale a quando studiavo a Londra e traducevo solo da due o tre anni. Mi trovavo in metropolitana e da una settimana notavo che era tappezzata dalla pubblicità di un nuovo libro di un’attrice comica/scrittrice inglese. Sembrava carino, dovunque mi girassi me la ritrovavo davanti, e così avevo deciso che l’avrei comprato in serata, tornando a casa. Dopo un’ora mi chiamò la casa editrice per cui lavoro e mi disse: “Abbiamo una nuova traduzione da affidare: l’ultimo di Dawn French. Ti va di occupartene tu?”. Sono rimasta di stucco. Era una coincidenza assurda, e ovviamente ho detto di sì. Quindi alla fine non l’ho più comprato… me l’hanno mandato loro e la versione italiana è la mia.



Hai tradotto libri di Colleen Hoover, Larissa Ione, Lora Leigh, Lara Adrian, Catherine Bybee e altri. Hai mai avuto la possibilità di chiacchierare con qualcuna di loro?



Solo con Catherine Bybee. Ci siamo sentite brevemente mentre mi occupavo di “Not Quite a Date”. È stata molto carina e mi ha ringraziato (lei!?) del lavoro che stavo facendo.



A soli venti anni, Auburn Mason ha paura di aver perso ciò che aveva di più importante. Malgrado il dolore, le resta la voglia di lottare per rimettere sulla giusta strada un destino che sembra sfuggirle dalle mani, ma questa volta non dovrà esserci più spazio per errori e debolezze, tantomeno per l’amore.
Owen Gentry è l’enigmatico artista proprietario dello studio d’arte di Dallas presso cui Auburn ha trovato lavoro. È un giovane brillante, di talento, verso il quale Auburn sente fin da subito di provare un’attrazione speciale. A quanto pare, la vita le sta regalando un’altra occasione per lasciarsi andare e ascoltare il proprio cuore. Eppure c’è qualcosa che rischia di minacciare la ritrovata felicità, un segreto che Owen vorrebbe relegare nel proprio passato ma che torna prepotentemente a galla. Owen sa che l’unico modo per non perdere Auburn è condividere con lei ogni aspetto della sua vita, ma la verità, come le opere d’arte, si presta a interpretazioni contrastanti, e una confessione, talvolta, può essere più distruttiva di una menzogna...


Nella traduzione hai lavorato su testi di vario genere (chick-lit, fantascienza, young adults, romance, urban fantasy) ma qual è il tuo genere preferito? E qual è quello che ti preoccupa di più?



Non ho un genere preferito tra quelli di cui mi sono occupata finora, ma mi piacciono i dialoghi brillanti, al di là del genere. I libri della Ione, ad esempio, pur essendo paranormal romance, sono molto impegnativi da tradurre (e divertenti!), perché gli scambi tra i personaggi giocano continuamente sull’ironia e sul sarcasmo – elementi che in traduzione rappresentano una bella sfida.



Serena Kelley è una donna dai molti segreti. Da bambina le è stata concessa l’immortalità, a patto che rimanga vergine. Serena, però, non è immune al fascino maschile e quando incontra il demone Wraith sa che non potrà sfuggire al suo richiamo. Sarà lui a strapparle per sempre un dono così prezioso? Wraith è un demone implacabile e letale. Ma quando uno dei suoi nemici lo avvelena, deve convincere Serena a offrirgli l’unico antidoto in grado di salvarlo, e così la donna che dovrebbe annientare diviene la sua speranza. E mentre il loro mondo vacilla irrimediabilmente, i due si perdono fra le ombre della seduzione, lasciando al destino la scelta che tanto temono... Fra tentazioni proibite e desideri fatali, Larissa Ione ci presenta il nuovo capitolo di una serie ricca di colpi di scena e sensualità, che vi terrà sveglie fino a notte fonda.




Sappiamo che lavori come traduttrice per il gruppo Fanucci. Molti traduttori sognano di poter lavorare per una grande casa editrice italiana ma pare sia molto difficile (se non impossibile essere presi in considerazione). E' davvero così? Come sei diventata uno dei loro traduttori?



Come dicevamo prima, non è facile entrare in questo mondo. Perché difficilmente una casa editrice si affida a una persona senza esperienza, ma se nessuno ti fa tradurre il primo libro… come te la fai l’esperienza? Ma questo è un problema relativo a molte professioni, non sono alla nostra. Nel mio caso, è stata soprattutto fortuna… almeno all’inizio. Così come è stato per il primo romanzo che ho tradotto per Aliberti, infatti, anche con Fanucci ho semplicemente mandato il mio curriculum in redazione (e a quel punto avevo un paio di titoli all’attivo) e loro, che in quel momento avevano bisogno di nuovi traduttori, mi hanno proposto una prova. L’ho superata e mi hanno affidato il primo incarico.



Girovagando per la rete si trovano degli articoli in cui si suggerisce ai traduttori di fare una proposta editoriale a un editore. Pensi sia davvero una buona idea farlo oppure si rischia il tipico "Grazie, le faremo sapere."? Ne hai mai fatta una? Se sì, è stata accolta? Se no, conosci qualcuno che ce l'ha fatta?



La questione dello scouting è uno dei punti più discussi del nostro lavoro. Personalmente mi è capitato solo una volta di fare una proposta, e non ho avuto risposta. Ma ero proprio alle prime armi, e sono sicura che se la riguardassi adesso mi metterei le mani nei capelli. Il punto è che fare delle proposte non è facile. In primis, non tutte le case editrici le accettano. In secondo luogo, bisogna essere molto oculati e individuare la giusta casa editrice a cui mandare una data proposta in base al tipo di libri che pubblicano. Come dire, non ha senso proporre “Cinquanta Sfumature di Grigio” ad Adelphi. Detto questo, però, è certamente una buona idea provarci. Se ne parlava proprio un paio di settimane fa durante un incontro al Pisa Book Festival con alcuni editori, che sottolineavano come una proposta ragionata, ben argomentata, e così via, può essere un buon modo per spiccare tra le decine di volti e nomi che si propongono agli editori.



Hai lavorato poi come traduttrice per AmazonCrossing. Sappiamo che hanno una sezione dove è possibile caricare il proprio CV ma c'è anche la possibilità di essere contattati direttamente da loro. A te cosa è successo? Pensi che il fatto che tu abbia lavorato precedentemente per un editore italiano ti abbia aiutato?



Io sono stata contattata direttamente da loro nel 2013, agli albori del progetto AmazonCrossing. Credo mi avessero pescato dal database dei traduttori letterari del Centro per il Libro e la Lettura, per cui è stato certamente determinante aver lavorato per vari editori italiani (con cui, tra l’altro, continuo a lavorare). Ho anche tradotto subito una cosa per loro, un piccolo e-book su un’intervista a Obama (per i KindleSingles), ma poi il progetto AmazonCrossing aveva subito una battuta d’arresto. In ogni caso, dopo un paio di anni è ripartito e a quel punto mi è stato affidato il primo vero romanzo, “Non proprio un appuntamento”, di C. Bybee.



Jessica “Jessie” Mann, cameriera e madre single, è la praticità fatta persona. Anche se avesse tempo per uscire con gli uomini (e non ne ha) farebbe di tutto per garantire al figlio un’infanzia più tranquilla della propria. Per questo le serve un marito con i soldi! Così, quando Jack Morrison, un cliente terribilmente sexy con il cappello da cowboy e il sorriso accattivante, cerca di flirtare con lei, Jessie lo respinge perché apparentemente al verde. Dubita, infatti, che un sognatore come Jack possa garantirle la stabilità economica di cui ha bisogno. Sarà difficile resistere all’affascinante texano, con il Natale alle porte e il desiderio di non passarlo da sola.
Erede dei Morrison, proprietari di un impero degli hotel di lusso, Jack è abituato a essere adulato. Ora sente il bisogno di qualcuno che s’innamori di lui e non della sua ricchezza. Un giorno mette gli occhi su Jessie, ma il muro che la ragazza ha costruito intorno al proprio cuore potrebbe ostacolarlo. Così decide di nasconderle la sua vera identità e si offre di aiutarla a trovare il marito ricco che cerca. Peccato che la sua audace messinscena rischi di privarlo del desiderio che vorrebbe vedere esaudito per Natale...


Puoi raccontarci come avviene l'affidamento dell'incarico di traduzione in una casa editrice e in AmazonCrossing?



Nelle case editrici italiane per cui lavoro è il redattore a contattarti per proporti un libro piuttosto che un altro, in base alle loro esigenze ma anche alle tue attitudini. I traduttori che lavorano per AmazonCrossing, invece, hanno accesso a una piattaforma interna su cui vengono pubblicati i titoli dei libri che Amazon vuole tradurre. Poi, di volta in volta, i traduttori interessati a occuparsi di quel dato progetto possono inviare una prova di traduzione (in genere le prime pagine del romanzo) dando la propria disponibilità. Poi in redazione sceglieranno la “voce” più idonea a tradurlo.



E che differenze ci sono nel portarlo a termine?



Non ci sono grandi differenze, dal punto di vista del traduttore il lavoro è lo stesso: ti vengono affidati il libro e una data di consegna. Il traduttore lavora sull’opera e invia la sua traduzione entro la scadenza concordata. Dopo qualche settimana si riceve la traduzione revisionata da un altro professionista, si corregge il necessario, e si va in stampa.



Negli ultimi anni stiamo assistendo anche alla pubblicazione di libri stranieri in italiano senza il classico editore. Sono gli autori stessi che contattano un traduttore oppure usano Babelcube. Hai mai sentito parlare di questo fenomeno e in particolare di Babelcube? Si tratta di una piattaforma che mette in contatto autori e traduttori. Tutti lavorano con le royalties. Accetteresti di iscriverti? Se no, perché?



Ho sentito parlare di questo fenomeno, ma non conosco nel dettaglio né Babelcube, né altre piattaforme simili. In ogni caso, non credo che accetterei di lavorare in quel modo. Ritengo che il sistema con cui si lavora tradizionalmente nel mondo della traduzione, e cioè con la mediazione della casa editrice, sia garanzia di qualità. Per non parlare di quello che potrebbe succedere alle tariffe traduttive attualmente applicate dalle case editrici. Già così stiamo assistendo a una continua diminuzione dei compensi a cartella… se un sistema come quello prendesse piede in modo definitivo, temo che sarebbero più i problemi che le soluzioni.



Se questo tipo di pubblicazione diventasse sempre più diffuso, pensi che gli Editori non avrebbero più ragione di esistere o rimarrebbe solo una pubblicazione alternativa?



A mio avviso, non credo si possa arrivare a un punto tale da poter bypassare completamente gli editori. E personalmente, non me lo auguro nemmeno! Proprio per la questione della qualità di cui parlavo prima. Se continuerà a crescere, sarà in ogni caso come pubblicazione alternativa.



E per concludere, quali sono i tuoi progetti futuri?



Domanda da un milione di dollari. Innanzitutto, non lavorando solo con la traduzione editoriale ma anche con l’audiovisiva, soprattutto con la sottotitolazione di film e serie TV, spero di continuare ad ampliare il numero di progetti validi e interessanti di cui mi occupo in entrambi i campi. Dunque, libri e film sempre più belli e stimolanti! Inoltre, sono impegnata in campo accademico nell’insegnamento di teorie e tecniche della traduzione (per ora sotto forma seminariale), attività che mi piace molto e che spero possa crescere.

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