Benvenuta Rita, è davvero un piacere poter chiacchierare
con te e parlare di cose che sicuramente interesseranno i nostri lettori. Sei
la regina dei self publisher, migliaia di ebook venduti, un contratto con
AmazonCrossing e il lancio sul mercato anglofono. Insomma stai ottenendo grandi risultati che
molti self solo si sognano. In quanta parte è fortuna e in quanto duro lavoro?
Ciao
Shanmei! Grazie a te
per l’invito. :)
Il
duro lavoro è sicuramente alla base di tutto. Senza di esso non sarei riuscita
a innescare e alimentare la catena di eventi che mi ha portato a questo
risultato, ma è anche vero che la fortuna ha avuto il suo bel peso. Credo che
la fortuna maggiore sia stata quella di pubblicare i miei primi libri nel momento
in cui iniziava a svilupparsi l’autoeditoria in Italia. L’essere stata un
pioniere in un nuovo mercato mi ha permesso di raggiungere più facilmente (si
fa per dire) la popolarità, poiché mi sono trovata tra quei pochi in grado di
offrire qualcosa che rispondeva alla domanda dei lettori in quel determinato
periodo. In generale, finora, ho avuto un buon tempismo e questo mi ha aiutato
parecchio a raggiungere certi risultati. Ma, se a questo non si fosse aggiunto
un costante lavoro, dubito che sarei riuscita a sfruttarlo appieno, anzi, ho
l’impressione di non fare mai abbastanza.
Parlaci di te, raccontaci il tuo percorso di studi. Hai
seguito corsi di scrittura creativa?
Ho
una preparazione scientifica. Sono biologa e per diversi anni ho lavorato come ricercatrice,
assistente e tutor nel campo dell’ecologia presso l’Università degli Studi di
Cagliari. Non ho mai seguito corsi di scrittura creativa, ma ho studiato
ugualmente sia su testi che trattano questo argomento sia attraverso la
costante analisi dei libri che leggo. L’ho fatto più recentemente (a partire
dal 2009), quando ho deciso di impegnarmi seriamente nella scrittura,
considerandola per quello che è: un mestiere. Trattarla come un hobby mi
spingeva a procrastinare, poiché non me la faceva percepire come importante.
Ho
la fortuna (anche in questo caso devo proprio dirlo) di essere dotata di una
fervida immaginazione cui si aggiunge un innato amore per la lingua italiana, e
in generale una particolare predisposizione per le lingue. Infatti, sono una
traduttrice freelance sia tecnico-scientifica che letteraria (sono titolare di
una ditta individuale che si occupa di servizi di traduzione), anche se da
qualche anno mi occupo solo marginalmente di traduzioni. Il self-publishing si
porta via quasi tutto il mio tempo.
Sono passati trent'anni dalla missione di esplorazione di Marte Hera,
il cui equipaggio è morto in circostanze misteriose. Tale fallimento e
tutte le problematiche politiche da esso generate hanno rallentato la
NASA nella sua corsa alla conquista dello spazio, ma adesso i tempi sono
maturi per una nuova missione chiamata Isis. Stavolta i cinque
astronauti selezionati non viaggeranno per oltre quattrocento milioni di
chilometri solo per una breve visita, ma saranno destinati a diventare i
primi colonizzatori del pianeta rosso.
Tra di loro c'è l'esobiologa svedese Anna Persson, approdata a questa avventura nella speranza di iniziare una nuova vita lontana dalla Terra.
Marte avrà però in serbo per lei un'incredibile scoperta, chiave di un mistero nascosto nelle profondità di Valles Marineris.
Tra di loro c'è l'esobiologa svedese Anna Persson, approdata a questa avventura nella speranza di iniziare una nuova vita lontana dalla Terra.
Marte avrà però in serbo per lei un'incredibile scoperta, chiave di un mistero nascosto nelle profondità di Valles Marineris.
Facci una panoramica della tua carriera letteraria. Come
hai iniziato, come hai accresciuto il numero dei tuoi lettori, di che tipo di
promozione ti sei avvalsa?
Ho
pubblicato il primo libro nel 2012, ma già da due anni prima avevo iniziato a
studiare il mercato editoriale italiano e in particolare il crescente fenomeno
del self-publishing, che però non era ancora approdato veramente in Italia. Nel
frattempo scrivevo il mio primo romanzo originale, che poi è diventato il mio
settimo titolo pubblicato, e curavo il mio blog personale, che esisteva già dal
2006, dandogli un taglio più legato alla narrativa.
Quando
Amazon KDP è arrivato in Italia, alla fine del 2011, stavo per completare la
prima stesura di quel romanzo e iniziava a frullarmi in testa l’idea di una
storia ambientata su Marte, ispirata dal lancio del rover Curiosity avvenuto
nel novembre di quell’anno, che mi ha spinto a leggere diversi libri di Robert
Zubrin sull’esplorazione e futura colonizzazione del pianeta rosso.
Nel
gennaio 2012 ho scritto la prima stesura di una novella, intitolata “Deserto
rosso - Punto di non ritorno”, che poi sarebbe stata solo il primo libro di una
quadrilogia (gli altri tre sono dei romanzi), e mentre lavoravo all’editing
(nel contempo studiavo per migliorare le mie competenze in questo campo) ho
cercato di iniziare ad attirare l’attenzione della mia piccola readership del
blog, offrendo una vecchia fan fiction riveduta e corretta in formato ebook
(“La morte è soltanto il principio”, che è una fan fiction del primo film de
“La Mummia”, versione del 1999) e preparandola a quella che sarebbe la serie
marziana.
L’elemento
fondamentale che ha portato poi al successo della serie di “Deserto rosso” è
stata proprio la serialità. Credo di essere stata la prima in Italia a
pubblicare una serie a puntate (cioè in cui ogni libro che terminava con un
cliffhanger) di fantascienza in formato ebook. Ciò ha attirato i lettori di
questo genere, che mi hanno premiato acquistando il primo libro e recensendolo
positivamente. Sono riuscita in questo modo a creare un’atmosfera di
aspettativa nei confronti dei libri successivi, utilizzando perlopiù Facebook
(e il mio blog) come strumento di interazione.
Altro
aspetto importante è stato l’appoggio del podcast di fantascienza FantascientifiCast.
Subito dopo aver pubblicato il primo libro, ho cercato di andare dove si
trovava il target dei miei lettori e ciò mi ha fatto approdare al sito di
questo podcast. Quando ho contattato uno dei creatori, Omar Serafini, mi sono
sentita dire che aveva già acquistato il libro! Da lì è nata una collaborazione
(faccio ufficialmente parte dell’equipaggio di FantascientifiCast da allora) e
una grande amicizia, che sono stato i primi di una serie di eventi che hanno
accresciuto la mia popolarità e che, fra le altre cose, mi hanno portato a
essere notata da Wired Magazine, proprio grazie alle segnalazioni dei miei
lettori.
Da
lì si è poi innescata una reazione a catena con la partecipazione al Salone
Internazionale del Libro di Torino, alla Frankfurter Buchmesse, col contratto
per la concessione dei diritti di traduzione in inglese de “Il mentore” ad
AmazonCrossing, che mi ha poi portato più recentemente alla prima posizione sul
Kindle Store in USA, Regno Unito e Australia (lo ero già stata un anno prima in
Italia con “Deserto rosso”), con le varie conferenze e persino con
l’opportunità di tenere un corso di self-publishing a Varese presso
l’Università degli Studi dell’Insubria.
Ma
questo meccanismo si sarebbe presto bloccato se avessi smesso di lavorare a
nuovi libri e pubblicarli. Finora ho pubblicato almeno due libri l’anno e spero
di poter continuare con questa media ancora per un po’. Avere un lungo catalogo
che continua a crescere permette di mostrare al pubblico che non si è soltanto
un fenomeno del momento, ma che si sta portando avanti un progetto a lungo
termine.
Questa è una domanda un po’ personale, ma quello che mi
interessa non è farti i conti in tasca ma chiederti proprio come si svolgono le
cose da un punto di vista tecnico. Per amministrare i tuoi guadagni ti avvali
di un commercialista? Paghi molte tasse sulle royalties? È facile districarsi
tra burocrazia e creatività? Sulla tua carta di identità hai la denominazione
scrittore?
Ho
una commercialista, perché sono titolare di partita IVA con la mia ditta
individuale, quindi sono costretta ad averne una. Ma, per quanto riguarda la
parte delle royalty, la mia commercialista si limita a riportare la cifra
totale nella dichiarazione dei redditi. Io mi occupo di tutto il resto, che è
comunque molto semplice, consiste cioè nell’archiviare le copie dei pagamenti
(essenzialmente i documenti relativi ai singoli bonifici ricevuti nell’anno
solare) e poi fare le somme, magari un due o tre volte per essere sicura di non
sbagliare. :)
Le
tasse sulle royalty, se non erro, partono dal 20%, ma possono aumentare in base
all’imponibile totale della persona in questione. Questi calcoli spettano alla
mia commercialista.
Nella
mia carta d’identità c’è scritto un molto generico “libero professionista”,
anche se fiscalmente sono considerata un artigiano, ma nell’uso comune questo
termine viene in genere affiancato a un altro genere di professioni. L’ultima
volta che l’ho rinnovata è stato prima che il self-publishing diventasse la mia
prima fonte di reddito. In questo momento non indicherei “scrittore” nella mia
carta d’identità, poiché è una definizione riduttiva e rappresenta solo una
parte del mio lavoro. Se dovessi rinnovare a breve la carta d’identità (ma in
realtà mancano ancora molti anni), credo proprio che ci scriverei
“autoeditore”.
Il self-publishing è una attività relativamente recente,
esplosa con Amazon che ha dato la possibilità ad autori esordienti o
semiesordienti di confrontarsi con un mercato ipoteticamente sconfinato.
Un’occasione anche solo una decina d’anni fa impensabile. Cosa funziona e cosa
no? Cosa può essere ancora migliorato?
Il
self-publishing in sé funziona, come qualsiasi altro formato editoriale. Ciò
che può non “funzionare” è la persona che cerca di diventare un autoeditore
senza averne le competenze. Il problema maggiore della cattiva editoria, tutta,
non solo quella che interessa il self-publishing, è la carenza di
professionalità e la scarsa tendenza a impegnarsi nel proprio miglioramento
personale. Essere un self-publisher significa essere prima di tutto un editore
(publisher), quindi chiunque voglia pubblicare i proprio libri in questo modo
deve capire che non è affatto facile, anzi, è la strada più difficile, poiché
si tratta di attività imprenditoriale, poiché crea dei prodotti che la gente
paga per poterne fruire. E i lettori sono dei clienti molto esigenti. Anche se
uno lo fa come hobby, il self-publishing è un lavoro vero e proprio.
Quindi
non è il self-publishing che ha bisogno di essere migliorato, ma sono i
self-publisher che devono puntare al proprio miglioramento, iniziando col
cambiare la propria mentalità e il proprio approccio a questo mestiere, anche
se lo fanno solo come hobby.
Che ruolo pensi svolgano i forum, i blog, i siti
specializzati nel successo di un autore indie? Orientano e calamitano davvero
le vendite?
È
compito dell’autore indipendente individuare il proprio target e andare a
cercarlo laddove si trova (virtualmente parlando). Qualsiasi sito specializzato
(che sia un forum, blog, podcast, magazine, ecc…) nel genere del proprio target
è il luogo dove si possono incontrare i propri potenziali lettori. Ma nella
marea di siti esistenti c’è tanta dispersione. Davvero pochi riescono a fare la
differenza in fatto di vendite. È vero che apparire in più siti possibili è
sicuramente positivo, ma implica un dispendio di tempo enorme. Bisogna avere
l’accortezza di scegliere quelli giusti. In ogni caso non si può assolutamente
basare la proprio attività promozionale su siti di terzi. Bisogna creare nei
propri canali (blog e social) l’ambiente ideale per attrarre i lettori e
fidelizzarli, in modo che si inneschi l’elemento più importante nella
promozione di un autore indipendente: il passaparola.
Su Amazon vendono tanto gli autori che si orientano in un
tipo di narrativa per adulti, con copertine suggestive, contenuti anche
sessualmente espliciti. Tu invece ti occupi di fantascienza e di thriller, e
nonostante questo hai avuto successo. Perché non hai scelto la strada più
facile? Cosa pensi dei colleghi che seguono le mode prima che una reale
propensione personale ai generi?
Questa
domanda mi fa sorridere. :)
Credo
che la strada più facile per un autore sia sempre e soltanto quella di scrivere
nel genere in cui si sente a proprio agio. Scrivere talvolta è una vera e propria
sofferenza, chi me lo farebbe fare se dovessi soffrire per scrivere un libro
che non rientra nei miei gusti, ma solo perché è di moda? Non credo proprio che
ci riuscirei, altro che strada più facile! E penso, in tutta onestà, che chi
scrive narrativa per adulti lo faccia perché è un genere che ama, sia leggere
che scrivere.
Ma,
d’altronde, io ho avuto successo all’estero con un thriller e il thriller è uno
dei generi più letti al mondo, eppure non scrivo thriller per avere successo,
ma solo perché mi piace farlo.
E,
a dirla tutta, la mia popolarità in Italia nell’ambito della fantascienza è
dovuta al fatto che ho iniziato a pubblicare un genere che veniva in gran parte
snobbato dall’editoria tradizionale e quindi sono andata a offrire un prodotto
a un gruppo di lettori che lo cercava attivamente. Ma io ho scritto
fantascienza solo perché mi piace farlo, non perché pensavo di attirare quel
gruppo di lettori, altrimenti non ci sarei riuscita affatto.
È
semplicemente una fortuna che i miei gusti, tutt’altro che mainstream, siano
andati a combaciare con una determinata richiesta del mercato in quel
particolare momento.
Non
credo che si abbia molta scelta in questo senso. La creatività non è un
elemento controllabile o almeno non lo è in gran parte.
As Scotland Yard chief forensics detective
Eric Shaw works a case with some resemblance to a crime he investigated
twenty years earlier, he is convinced it is just a coincidence. But when
more deaths occur in a style similar to those killings from the past,
Shaw suspects that he has a serial killer on his hands—one who is
pursuing a personal, cold-blooded vendetta.
Working closely with his protégée, Detective Miriam Leroux, Shaw analyzes the crimes down to the finest detail. He finds himself increasingly drawn to the lab, where criminologist Adele Pennington, a beautiful, enigmatic woman more than two decades his junior, proves distracting. Determined to maintain his professionalism despite the attraction, Shaw struggles to keep her at arm’s length. Yet Pennington’s unique insight proves critical, and as the investigation develops, so does their personal connection. With a killer on the loose, Shaw must follow a winding, blood-soaked trail that will take him in an unexpected and terrifying direction.
Working closely with his protégée, Detective Miriam Leroux, Shaw analyzes the crimes down to the finest detail. He finds himself increasingly drawn to the lab, where criminologist Adele Pennington, a beautiful, enigmatic woman more than two decades his junior, proves distracting. Determined to maintain his professionalism despite the attraction, Shaw struggles to keep her at arm’s length. Yet Pennington’s unique insight proves critical, and as the investigation develops, so does their personal connection. With a killer on the loose, Shaw must follow a winding, blood-soaked trail that will take him in an unexpected and terrifying direction.
Che rapporti hai con i tuoi lettori? Li incontri alle
Fiere, alle presentazioni? Mantieni contatti via mail o per lettera?
I
miei lettori li ho principalmente conosciuti tramite la rete ed è lì che
continuo a incontrarli, su Facebook, tramite e-mail, sul mio blog, su Twitter,
ecc… Talvolta è capitato che qualche lettore sia venuto a incontrarmi durante
un evento offline, ma sono casi rari. La loro distribuzione geografica casuale
rende una cosa del genere abbastanza difficile. Molti lettori, poi, vivono
all’estero.
Gli
eventi offline, però, possono essere una buona occasione per conoscere
potenziali nuovi lettori.
Quali sono le doti che deve possedere un autore indie?
Come affronti e gestisci le critiche? Ti è mai capitato di sentirti
scoraggiata, pronta a dire ora smetto?
Come
dicevo sopra, l’autore indipendente è di fatto un imprenditore, un lavoratore
autonomo, quindi deve possedere soprattutto disciplina e desiderio di
migliorarsi, di imparare, di acquisire professionalità. La disciplina, in
particolare, è molto difficile da conservare, perché gli elementi di
distrazione sono tantissimi e la voglia di procrastinare per un mestiere che
genera risultati a lungo termine è sempre dietro l’angolo.
Le
critiche ho imparato a ignorarle. All’inizio mi davano un po’ fastidio (okay,
più di un po’ e non è che ora le apprezzi), perché non ero abituata ad
affrontarle. Adesso diciamo che ci ho fatto il callo. Ho semplicemente smesso
di farmi influenzare, perché non è sano lasciare a degli sconosciuti il potere
di decidere il tuo valore. La gente esprime delle opinioni che sono vere per
loro e possono essere completamente false per altri. Preferisco concentrarmi
sulla critica positiva costruttiva, cioè su quel tipo di feedback
particolareggiato che ricevo dalle persone che apprezzano le mie opere. Lo
faccio perché loro sono il mio pubblico, il mio target, e in questo modo riesco
a capire meglio i punti di forza dei miei libri e cosa ha presa su i miei
lettori.
D’altronde,
non si può piacere a tutti, quindi tanto vale concentrarsi su coloro che hanno
un modo di sentire simile al mio. Io scrivo i libri che io stessa vorrei
leggere, quindi di fatto io scrivo per loro, non per tutti.
Come
tutti, anche io ho dei momenti di scoraggiamento, ma non verso quello che
faccio. Non credo che potrei mai smettere del tutto di scrivere o pubblicare
(oddio, mai dire mai, ma di certo non lo farei perché scoraggiata). Piuttosto
ciò che ha un impatto negativo sul mio umore sono gli aspetti su cui non posso
avere alcun controllo. Insomma, quando la sfortuna ci vede bene e certi
progetti non vanno in porto è normale che emerga un certo senso di scoramento
cui si aggiunge la voglia di non fare nulla (e in tal caso aver preso degli
impegni che non si possono rimandare è un toccasana per uscirne). Ma spesso è
proprio quando ciò accade che mi ritrovo a recuperare le forze e ideare nuove
strategie.
Forse
non è un male che ogni tanto qualcosa non vada per il verso giusto, perché
altrimenti finirei per adagiarmi e ciò potrebbe avere degli effetti negativi
sul mio lavoro a lungo termine.
Mentre indaga sull’omicidio di due pregiudicati collegati a un noto
trafficante di droga londinese, resosi protagonista di una spettacolare
evasione dal cellulare che lo stava riportando al penitenziario di
Coldingley dopo un’udienza in tribunale, la squadra scientifica di
Scotland Yard diretta dal detective Eric Shaw si ritrova coinvolta nel
caso di un’infermiera che accusa una madre di essere responsabile di una
serie di violenti episodi febbrili che hanno colpito suo figlio Jimmy,
di soli dieci anni. Quest’ultima si accanirebbe sul proprio bambino,
peggiorandone le condizioni di salute, per attirare su di sé
l’attenzione e la compassione del personale sanitario.
Eric ne viene a conoscenza casualmente, poiché la pediatra che ha in cura il piccolo paziente, Catherine Foulger, è una sua vecchia fiamma, che il detective ha ripreso a frequentare di recente nella speranza di rimettere ordine nella propria vita dopo aver scoperto l’identità del serial killer denominato ‘morte nera’.
Ma la sua ex-compagna Adele Pennington, criminologa del Laboratorio di Scienze Forensi, non ha affatto accettato di buon grado questa nuova relazione.
Eric ne viene a conoscenza casualmente, poiché la pediatra che ha in cura il piccolo paziente, Catherine Foulger, è una sua vecchia fiamma, che il detective ha ripreso a frequentare di recente nella speranza di rimettere ordine nella propria vita dopo aver scoperto l’identità del serial killer denominato ‘morte nera’.
Ma la sua ex-compagna Adele Pennington, criminologa del Laboratorio di Scienze Forensi, non ha affatto accettato di buon grado questa nuova relazione.
Deserto rosso è forse il tuo titolo più famoso, ma hai
nella tua produzione anche titoli thriller. Sindrome è la tua nuova uscita. Ce
ne vuoi parlare? Che impegno ti richiede scrivere un thriller procedurale?
La
serie di “Deserto rosso” (sia i singoli libri che la raccolta) è sicuramente il
mio maggiore successo in Italia. Lo dicono i numeri. A essa appartengono finora
circa il 70% delle copie vendute nel nostro Paese. Ma anche “Il mentore” non
era andato tanto male a suo tempo (nel 2014), tanto che le ottime vendite
avevano portato l’interessamento di AmazonCrossing che ha voluto acquisirne i
diritti di traduzione in inglese per pubblicarlo sul mercato anglosassone.
“Sindrome”
è il seguito de “Il mentore”. Originariamente il primo libro era stato
concepito come uno standalone. È stato il contratto con AmazonCrossing a
suggerirmi che forse il detective Eric Shaw meritasse che il resto della sua
storia venisse narrata. Considerando poi gli ottimi risultati che il libro ha
avuto in inglese credo che sia stata un’ottima scelta.
Si
tratta del secondo libro di una trilogia (appunto, la trilogia del detective
Eric Shaw) ambientata tra il 2014 e il 2017 (anno in cui uscirà il libro
finale, “Oltre il limite”) a Londra. Eric è il detective ispettore capo che
dirige una delle squadre della sezione scientifica di Scotland Yard e nel primo
libro, durante le indagini su un serial killer, scopre che il colpevole è una
persona cui lui tiene parecchio (non dico chi è per evitare lo spoiler!). Nel secondo
libro Eric deve fare i conti con questa consapevolezza e nel frattempo seguire
due casi: uno riguarda una serie di omicidi che hanno come vittime degli
spacciatori collegati a un famoso evaso e l’altra ha a che fare con una donna
affetta da sindrome di Münchausen per procura (uno dei motivi del titolo). Si
tratta di una malattia mentale che porta le persone a causare la malattia di
quelle cui badano (in genere madri con i propri figli), fin talvolta a
provocarne la morte, e tutto ciò nasce da un desiderio di attirare la
compassione di chi sta loro intorno.
“Sindrome”
è solo parzialmente un thriller procedurale, nel senso che tutta la parte
relativa alle procedure di polizia e di scienza forense funge solo da contesto
alla trama principale che verte sul rapporto malato tra Eric, il mentore, e la
serial killer, cioè la sua “allieva”. Alla base di tutto c’è un argomento che
ritorna in tutti i miei libri (e anche per questo mi ritrovo a scrivere dei
romanzi in generi e sottogeneri diversi, proprio per esplorarlo in differenti
contesti): la soggettività nel definire il bene e il male. Ognuno di noi
stabilisce una scala di valori basata sulla propria educazione, sulle proprie
opinioni che dipendono dalle nostre esperienze di vita. E così ciò che per
qualcuno è considerato “bene” potrebbe essere “male” per altri, e viceversa. In
questo contesto non stupisce come persona che ha subito un’esperienza
fortemente traumatica in giovane età (come l’allieva di Eric, ma anche lui ha
avuto la sua buona dose di traumi) possa dare un significato molto personale a
questi concetti. La sfida, da parte mia, è mostrare al lettore questo suo punto
di vista, farglielo comprendere tanto da riuscire a farlo immedesimare nel
personaggio finché non si ritrova a tifare per lui/lei.
Stiamo
parlando di antieroi e non ho mai negato che nel crearli spesso mi ispiro a
quello che considero l’antieroe per eccellenza della narrativa mondiale:
Hannibal Lecter. Non a caso Thomas Harris è il mio autore preferito.
Non
arriverò mai ai suoi livelli, anche perché spero io stessa non essere mai in
grado di creare tanta cattiveria in un libro come Harris ha fatto nel
bellissimo “Hannibal” (il mio libro preferito), ma è comunque un riferimento
molto importante cui la mia mente torna spesso nel creare l’antieroe di turno.
Per
il resto, ammetto che la scienza forense mi affascina. Ed ecco che spunta fuori
il mio background scientifico. Prima di pubblicare “Il mentore” ho seguito un
corso online di criminologia tenuto dall’università di Leicester proprio perché
volevo approfondire l’argomento, oltre ciò che avevo imparato seguendo le serie
del franchise di CSI (di cui sono fan!) o leggendo i libri di Patricia Cornwell
(che mi accompagnano da quando sono adolescente). E così ho deciso di scrivere
dei romanzi in questo contesto perché mi ci trovavo a mio agio. È chiaro che
non pretendo assolutamente di dare un’immagine veritiera di come funzionano le
procedure della Polizia Metropolitana londinese. La realtà in questo caso
sarebbe fin troppo noiosa. Ho preso spunto da elementi reali e poi mi sono
presa una marea di licenze creando una Londra e una Scotland Yard vicina
all’immaginario collettivo di chi non è britannico, ma consapevolmente
abbastanza lontana dalla realtà. D’altronde si tratta pur sempre di finzione!
Quale sarà il futuro dell’autopubblicazione?
Preferisco
parlare di autoeditoria, traduzione di self-publishing, e non di
autopubblicazione, che si riferisce al mero atto di premere il tasto “pubblica”
e può essere applicata a qualsiasi forma di pubblicazione autonoma, inclusi i
post su Facebook e i tweet.
L’autoeditoria
è stata sicuramente un evento dirompente nel panorama editoriale. Non è affatto
qualcosa di nuovo, poiché esisteva ben prima che nascesse l’editoria
tradizionale. La differenza l’ha fatta la sua versione digitale, che può essere
messa in pratica utilizzando strumenti gratuiti alla portata di tutti (cosa che
con la sola carta non era possibile).
Per
quanto l’editoria tradizionale cerchi quasi di negare l’esistenza stessa di
questo formato editoriale, il fatto è che sta subendo le conseguenze del suo
sviluppo e che una parte di essa tenta di correre ai ripari, talvolta in
maniera maldestra (vedi certi grossi editori che offrono servizi editoriali
carissimi ai self-publisher, che vengono considerati dei semplici polli da
spennare). Però ultimamente, soprattutto al di là dell’oceano, ma non solo,
stanno nascendo delle collaborazioni sane tra editoria tradizionale e
autoeditoria, che a lungo andare, a mio parere, promuoveranno una parziale convergenza
tra questi due approcci. Da una parte gli editori tradizionali si troveranno
costretti a instaurare collaborazioni alla pari con i self-publisher, che,
essendo diventati sempre più esperti del mercato, reclameranno il giusto
rispetto. Dall’altra gli stessi self-publisher stanno spesso trasformando la
loro attività quasi fai-da-te in una vera e propria azienda, che ha come unica
differenza rispetto a una qualsiasi casa editrice il fatto che conta un unico
autore.
In
questo panorama chi si saprà adeguare al cambiamento prospererà, chi non ne
sarà in grado fallirà. Di certo ciò produrrà una sempre maggiore varietà nei
prodotti editoriali, maggiore qualità e prezzi migliori, tutto a vantaggio del
lettore.
Grazie della tua disponibilità e a presto, Shanmei
Grazie
a te! :)
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